Il percorso creativo

di CHIARA TAVELLA, 13/06/1998

Molti dei lavori recenti ideati da Giulio Candussio, realizzati in gran parte dagli allievi della Scuola Mosaicisti del Friuli, sono strutture tridimensionali di grande misura, che si impongono nello spazio circostante con l’ asciutto rigore dei solidi geometrici – imprescindibili, totemiche presenze…. Eppure, poi, a uno sguardo più ravvicinato, con qualcosa di più intimo e caldo: una pelle palpitante di mosaico le riveste, nei toni caldi dei vecchi coppi, di neri vellutati o morbidi bianchi dei ciottoli. La casualità della materia viva, dunque, convive con la razionalità del progetto “a priori”, l’ essenza della forma con il divenire della superfice, l’”ordine” con il “disordine”: polarità che, vedremo, è una costante nella ricerca di Candussio. Questa polarità si esprime qui non solo nel contrasto forma – superfice ma nella natura stessa del tessuto musivo, implicando un’altra fondamentale considerazione: le tessere di grandezza, colore, lucentezza diversa infatti, sembrano disposte con apparente casualità. Ma questa casualità risulta, a ben vedere, da una calibrata orditura, che gioca su variazioni anche minime di direzione e inclinazione per intrecciare una trama ritmica, viva continuamente mutevole. In altri termini c’è, dietro la naturalezza della stesura musiva, la sapienza di una lunga consuetudine con tessere e martellina, che guida il gesto meditato del mosaicista conservandogli però tutta la freschezza e la spontaneità dell’immediato (qualcosa di simile all’empirica sapienza costruttiva che si rivela nei muri in sasso dei nostri paesi, con i loro approssimati, varianti orditi di pietra – e il paragone non è casuale, costituendo, questi muri, un evidente riferimento per i tessellati in materiali naturali di Candussio). C’è dunque una “storia” dietro queste opere, la storia di un gesto che si fa “gesto – pensiero”, secondo l’icastica formula di Giulio stesso, un gesto cioè che implica e risolve una lunga riflessione, intessuta di riferimenti, di esperienze, di sperimentazioni. Questa storia cercheremo di ricostruire – e quale esperienza più affascinante che scavare la complessa stratificazione di stimoli che soggiacciano alla superfice di un’ opera? – senza la pretesa ovviamente di una ricostruzione “filologica”, che sarebbe qui inappropriata ed è resa oltretutto difficile dalla dispersione dell’ opera, dovuta a vicende per sonali e alle scelte stesse dell’artista, che, dopo appuntamenti importanti come la mostra del ’74 all’ Istituto Italiano di Cultura di Stoccarda, ha scelto coraggiosamente di non esporre e di evitare i condizionamenti imposti dal sistema artistico fino al momento di raggiungere una propria, convinta maturità. Evidenzieremo perciò soltanto lo sviluppo e l’approfondimento dei nuclei fondamentali della ricerca di Candussio, per tornare alle opere recenti in cui questo percorso è riassorbito e riversato in una nuova fase, aperta verso frontiere ancora tutte da esplorare. Si potrebbe risalire al ’62, l’anno in cui Candussio conclude il corso, allora quadriennale, alla Scuola Mosaicisti. Più che la data mi piace però riportare una testimonianza che ha il sapore di una leggenda esplicativa: come saggio finale del corso, Giulio presentò un mosaico che da vicino, appariva tutto nero, eccetto un puntino bianco al centro. Allontanandosi un poco , però, le tessere rivelavano una casa con una finestra illuminata nel buio della notte. Tra le pieghe del racconto è evidente una sensibilità già spiccata per gli effetti ottenuti dalla modulazione della luce attraverso gli andamenti e l’abbinamento di materiali diversi. Va inoltre ricordato che proprio in quegli anni si concludeva, a Spilimbergo, l’esperienza musiva del pittore De Luigi, tra i pochi ad aver capito l’ intima natura del mosaico, e che dal tronco di questa esperienza, pur con una sensibilità del tutto diversa, si sviluppava la ricerca di Nane Zavagno, insegnante nella scuola dal 1951 al 1969; una ricerca aperta al rinnovamento informale, attentissima, sia in pittura che in mosaico, ai valori del segno e della materia in un primo tempo, delle superfici modulate dal trascorrere della luce poi, nel clima optical – cinetico dei secondi anni ’60. Proprio tra questi due poli apparentemente così lontani, l’informale più materioso e l’astrazione più algida, anche se con una prevalente attrazione verso il primo, si orientano le prime fasi di ricerca di Candussio: al ’68 risalgono alcune tele impostate su forme quadrate, tracciate con dense e smarginate spatolate di colore, poi graffiate, che indicano l’adesione dell’informale e la scelta di campo astratto, su cui agiscono modelli contemporanei come in particolare la fase pre – optical di Ciussi. Negli anni sucessivi, fino ai primi’80 circa, si approfondisce l’appropriazione delle componenti più tipiche del linguaggio informale: gli impasti pittorici si fanno più densi, il segno corposo e aggravato di materia o caricato di tensione gestuale, anche derivante dall’uso del dripping. Spesso questi lavori, soprattutto alcune tele dei primi anni ’80, si ispirano dichiaratamente a Zigaina: campeggia al centro una forma , aperta, ad andamento verticale, che ricorda la presenza figurale – ceppaia, fuoco, filare di pioppi, girasole – caratteristica del maestro friulano: così come ziganiano è il senso degli orizzonti interrotti nel vuoto, precipitati obliquamente o spartiti in campi geometrici con effetto spiazzante; dunque una sostanziale astrazione compositiva, risonante però di echi evocativi. Si tratta chiaramente di esercitazioni, tuttavia già rielaborate con accenti personali: le ragnatele segniche di Zigaina, spesso all’ acquaforte, sono tradotte tridimensionalmente in ragnatele di pasta di colore che rispondono, nel loro incresparsi, alla luce, mentre lo spazio della tela è pieno e soffocato di colori accesi, il segno più pesante e compatto. Ci sono insomma in questi lavori una forza e una tensione, non sempre dominati, che portano oltre Zigaina. Ma inaspettatamente, tra la metà dei ’70 e i primi ’80 un altro riferimento della ricerca di Candussio è costituito dalla corrente optical – cinetica, a cui rimandano soprattutto alcuni lavori su legno composti da tasselli cubici, inclinati in modo da creare ritmi luminosi. Anche questo, certo,un esercizio, un esercizio, che ha negli allumini anodizzati di Alviani e Zavagno un modello – risolto però significativamente in un materiale più caldo, il legno appunto. Esercizio indicativo di un bisogno di rigore compositivo e di verifica delle possibilità minime del linguaggio visivo che si esprime parallelamente nell’arginamento della materia. Penso ai cerchi di sassi, presenti nella produzione candussiana dalla seconda metà degli anni’70; la figura geometrica a stento contiene la massa dei sassolini di fiume arrotondati, che alla luce radente creano una superfice quasi ribollente di vita primigenia – la geometria e l’informe dunque nella sintesi più semplice. Dai primi anni ’80 l’artista sviluppa inoltre, e continua tuttora, la sperimentazione della grafica compiuterizzata applicata al mosaico, fondata sull’equazione pixsel = tessera, che induce anch’essa un “raffreddamento” nelle forme, matematicamente scandite, e nei colori dalle sonorità artificiali e metalliche. Emblematico in tal senso il rivestimento per lo stabilimento Bisazza di Spilimbergo, realizzato nel 1989: un’ opera di Piero Dorazio, Gill Rull del 1988, viene scansionata, ingigantita e distesa sui piani della struttura architettonica, in modo tale che gli elementi tipici del linguaggio doraziano, il colore puro e il segno essenziale e dinamico, esprimano tutta la loro potenzialità architettonico – decorativa. Dorazio rappresenta un importante componente nel linguaggio candussiano di questi anni, orientandolo all’ approfondimento dello studio del colore – che perde ora le impurità materiche dell’informale e si decanta nei toni puri e nel contrasto dei complementari – al processo di semplificazione del segno e alla verifica delle possibilità espressive offerte dalla sua iterazione modulare. La sintesi tra geometria e informalità perviene così nei primi anni ’90 a risultati più complessi e articolati. Parallelamente il segno si raffina e si fa più personale: piccole pennellate allungate, di toni squillanti, si aggruppano in sciami orientati che migrano da una zona all’ altra della tela, un carosello di colore, talvolta libero di vagare, più spesso costretto entro una linea appena accennata, ma risoluta nel suggerire una struttura costruttiva, impostata su una centralità che appare in qualche modo la rielaborazione delle apparizioni ziganiane dei primi tempi. Il recupero di elementi che risalgono alle prime fasi pittorjche si percepisce anche in lavori su faesite impostati sul triangolo. Qui il fondo è nero, il segno è come una graffiatura rapida ottenuta consumando il colore; velature di grigio suggeriscono profondità diverse, presenze lontanamente alludenti a elementi naturali. Ancora il rigore mentale della geometria e la morbidezza materica del riferimento figurale, in una sintesi particolarmente raffinata, di carattere più concentrato e meditativo. Oppure ancora un reticolo di segni lineari imita il tessellato musivo e intesse sequenze dinamiche di colori luminosi che si sfaldano poi nella luce, ricreata dai rialzi di bianco, citando, a volte esplicitamente le Compenetrazioni iridescenti di Balla. Chiaramente questa fase pittorica ha molti punti di contatto con il mosaico, in un reciproco scambio che si concretizza inoltre in un’innovazione operativa nel mosaico, di notevole portata metodologica: tra l’ideazione del bozzetto in scala ridotta e la realizzazione musiva, Candussio inserisce la fase della “simulazione su carta”, cartone a grandezza reale dove tuttavia i contorni dei campi musivi non sono rigorosamente riportati, ma abbozzati da segni rapidi, che hanno appunto la stessa vitalità dei segni a tassello usati in pittura e che lasciano al mosaicista la libertà di reinterpretare la superfice attraverso i suggerimenti offerti via via dalla materia stessa delle tessere, tanto ama dire Giulio, si trasforma completamente in un linguaggio diverso, quello musivo, con le proprie regole e i propri valori. La maturazione di una produzione originale trova ora proprio nel mosaico la sua principale espressione. Accanto all’esecuzione di progetti musivi di importanti artisti contemporanei, condotta per la Bisazza (si può ricordare, tra gli altri, il mosaico su disegno di Eduard Paolozzi per la stazione di Tottenham Court della metropolitana di Londra, del 1983), Candussio elabora infatti una propria ricerca, che prende corpo nei lavori realizzati durante lo stage per giovani mosaicisti organizzato con Nane Zavagno nel 1988 presso la Bisazza, e poi, dal ’94, nell’attività didattica come maestro della Scuola Mosaicisti. Si tratta di grandi pannelli, di stele allungate e, più di recente, di quegli – stele- scultura tridimensionali a cui accennavamo all’ inizio. Le superfici piane vengono scandite dalla ripetizione modulare di un segno molto semplice, come le diagonali del quadrato, per esempio nei lavori dei lavori dello stage’88 o nelle prime stele realizzate a scuola nel’94: o, ancor più semplicemente, ritmate dalle sequenze orizzontali di tessere variabili nella forma e nella direzione – vedi le stele presentate alla mostra udinese Mosaico. Nuove Contaminazioni: mosaico, architettura, arte, design, del ’97 e i lavori di quest’anno. Il segno è sempre vivo, vivo nella natura zigzagante e imprecisa del segno musivo, e la superfice si anima matericamente per l’accostamento di materiali eterogenei (sassi, frammenti di vecchi coppi, smalti), offrendo, con le sue scabrosità appigli alla luce; mentre le solenni, monumentali presenze delle stele si impongono come segno a scala architettonica e urbana. Non si può non accennare a questo punto, almeno accidentalmente, alla “ricaduta” didattica che il risultato estetico conseguito in quest’ultima fase comporta: rimeditando e attualizzando gli esempi antichi – che si tratti dei pavimentali geometrici romani o della pelle vellutata dei mosaici bizantini – questi lavori rappresentano una puntuale e sistematica verifica della specificità del linguaggio musivo e tracciano cosi un percorso formativo nuovo, che guida l’allievo ad acquisire non solo abilità tecnico – manuale ma anche i fondamenti della “grammatica” creativa del mosaico, dalla centralità dei valori di vibrazione luminosa, di matericità, di ritmo e di saturazione cromatica, alla natura eminentemente architettonica del mosaico, che nasce e vive nell’interazione con lo spazio circostante. Luce, segno e materia, ritmo e tensione dinamica, e nello stesso l’esigenza di chiarezza e di saldezza compositiva, la polarità che abbiamo rintracciato fin dalle prime opere di Candussio, si fondono dunque nelle opere recenti in una sintesi originale, che nello stesso tempo rappresenta il punto di arrivo di anni di ricerca e l’avvio di nuove esplorazioni visive: se ne coglie un indizio nello dello sfaccettarsi delle ultime strutture a tronco di piramide, che allentano così la rigidità programmatica delle prime stele e si aprono a un dialogo più stretto con lo spazio circostante, in funzione del quale sono sempre pensate. O in un’opera recentissima, ancora celata nel suo studio, costituita da un reticolo di incisioni lineari su un piano monocromo grigio – azzurro, di compensato – un graffio intrecciato ortogonalmente, che scava la superfice in solchi quadrangolari, ora appena superficiali, ora più profondi e, solo col farsi più raro o frequente, addensa suggestioni atmosferiche, che recuperano tutta l’urgenza e l’intensità espressiva delle prime opere, attraverso un segno, però, rarefatto, delicato e limpidamente essenziale.

Chiara Tavella è nata a Pordenone nel 1968. Dopo la laurea in lettere ha frequentato la Scuola di Specializzazione in Storia dell’Arte. Si occupa prevalentemente di arte contemporanea e di giovani artisti anche con studi relativi alla produzione musiva attuale.