Chiara Tavella | La forma e la pelle

La critica d’arte Chiara Tavella presenta la mostra personale “LA FORMA E LA PELLE” tenutasi nel novembre 2010 a Cordenons.Mr. WordPress

Il rigore freddo dei solidi geometrici – l’impatto caldo dei materiali naturali; l’ordine razionale del progetto – il disordine apparente della materia; la “forma” da un lato – la “pelle” della trama musiva dall’altro, ispirata alle trame mutevoli e sempre nuove del mondo naturale – la corteccia degli alberi, la ghiaia del fiume, l’ondeggiare dell’acqua…: la produzione di Giulio Candussio, artista, mosaicista e designer, è tesa tra questi due poli, intersecati in un’unità inscindibile. Ne sono un esempio anche le opere proposte in questa mostra, che, nel ventaglio creativo di Candussio, sono quelle più vicine al design.
Le sue opere nascono dall’esigenza, stimolata dall’esperienza di insegnamento presso la Scuola Mosaicisti del Friuli, di individuare nuove possibilità di impiego del mosaico, che non siano solo le grandi opere parietali o pavimentali, ma anche oggetti di dimensioni più piccole, meno impegnativi sia sul piano della realizzazione che dei costi.
Gli esempi qui presentati sono quindi da considerare dei prototipi, o meglio – visto che si tratta non di una produzione industriale ma artigianale – degli “studi” in cui vengono sperimentate soluzioni applicabili a situazioni diverse: alcuni grandi riquadri sviluppano semplici ritmi sgranati nella malta di allettamento – essa stessa trattata perciò come elemento linguisticamente rilevante – che possono diventare pavimenti, evidenziare un setto architettonico o rivestire addirittura un intero edificio – recuperando così l’antica vocazione del mosaico all’interazione con lo spazio. La stessa trama musiva, più piccola, accidentata e fitta, può dare vita a forme tridimensionali, che da entità scultoree si trasformano in vasi, specchi, lampade, vassoi… Senza che vi sia soluzione di continuità tra questi ultimi e l’ideazione musiva più “impegnata” – e penso ad alcune opere di Candussio come gli “arredi” per il parco del Centro ricerche Fiat di Orbassano o la Saetta iridescente, il grande lampo musivo che taglia il vano della nuova stazione della metropolitana di Ground Zero, a New York. Anche il più “disimpegnato” sottopentola, in altri termini, ha in sé lo stesso quoziente di creatività del mosaico di decine di metri – come del resto è sempre stato nel miglior design, che nasce da un rapporto paritario e di interscambio con la creazione puramente estetica: basti pensare all’osmosi tra artisti come Kandinskj o Klee e il Bauhaus o al peso che un movimento come il costruttivismo russo ha avuto nella grafica, per fare qualche esempio.
Al fondo di ogni creazione di Candussio c’è una sperimentazione di tecniche, materiali, soluzioni nuove – tra cui merita ricordare almeno lo sviluppo del cartone musivo attraverso l’ingrandimento dei pixel dell’immagine digitale – che fa tutt’uno con la comprensione di quello che è il linguaggio più intrinsecamente musivo e con il recupero dei valori della tradizione. Il nuovo e l’antico si toccano, accomunati nella sensibilità profonda per i “valori” musivi: la trama e gli “andamenti” innanzitutto, e poi il contrasto dei materiali, opachi lucidi ruvidi riflettenti… e la forza del colore, saturo e vibrante come in nessun’altra tecnica. Ingredienti, questi, efficacemente dosati piuttosto togliendo che aggiungendo, valorizzando la specificità del linguaggio musivo attraverso una scelta di essenzialità che è l’opposto della tendenza, molto diffusa in mosaico, ad appesantire mettendo in gioco tutto, colore, texture, dimensione e forma delle tessere… fino a rasentare l’eccesso del kitsch.
Dietro questa sobrietà del segno c’è il modello, soprattutto nell’uso dei materiali naturali, dei grandi tessellati musivi romani, dagli eleganti pattern geometrici bianco-neri della prima età imperiale ai trionfi figurativi del periodo tardo, come ad Aquileia, risolti in uno stile ellittico, direi quasi cartellonistico, dove i principi del naturalismo ellenistico (ombre, panneggi, sfumature….) sono abbreviati in masse compatte e piatte di colore. Mentre al velluto dei mosaici bizantini si ispira il modo di trattare gli smalti, alternati agli ori e ai materiali naturali.
La lezione dell’antico dunque, compresa fino in fondo, ritorna in una versione attualizzata, che esalta gli aspetti più caratteristici del linguaggio musivo al punto che la “pelle”, il mosaico, diventa infine forma esso stesso e innerva con la vitalità delle sue trame, esemplate sulle texture della natura, cose e spazio, facendosi oggetto, segno ambientale, volume architettonico.
Chiara Tavella

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